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venerdì 6 novembre 2015

L’Italia etnonazionale contro l’italietta caricaturale




di: Paolo Sizzi



L’attuale Repubblica Italiana partorita dal secondo dopoguerra, e dunque modellata dalle grinfie di democristiani, partigiani, liberali, sinistrati e altri servitori dei “vincitori” alleati, non è altro che una colonia svuotata da ogni rimando genuinamente nazionale (ed etno-culturale).
Lo stato italiano che ci ritroviamo sul groppone da una settantina di anni non serve l’Italia e il Popolo italiano, a meno che per “Italia” si intenda la galleria di orrori stereotipati che tanto diverte gli Americani; lo stato italiano attuale è un apparato apolide, internazionale ed internazionalista, mondializzato dove l’appartenenza di sangue, suolo e spirito conta meno di zero perché a contare qualcosa è solo la vuota retorica patriottarda a base di tricolori francesizzanti, ruote dentate, drappi azzurri e continua confusione tra Risorgimento (affrancamento degli Italiani dal giogo straniero) e Resistenza, cosiddetta (affrancamento degli Italiani dall’Italia a tutto vantaggio di Americani, banchieri e agenti globalisti anti-identitari).


In un quadro simile vengono immediatamente meno la sovranità del Paese, l’autorità del suo stato e l’identità della Nazione. Oggi “Italia” indica semplicemente l’apparato statale occidentale ad uso e consumo della globalizzazione americana, una delle tante sciagurate realtà politiche dell’Europa occidentale che sta in piedi a suon di logge borghesi al servizio del mondialismo alleato. E questa situazione non fa certo bene al verace patriottismo, dal momento che la confusione costante tra stato e Nazione va a detrimento dell’orgoglio nazionale e dello spirito d’appartenenza, che dovrebbe legare gli Italiani senza micro-sciovinismi di sorta.

Di fronte ad uno stato apolide e fallimentare che non serve il proprio Popolo ma gli interessi degli enti sovranazionali ci si deve aspettare una deriva indipendentista, ad esempio, per quanto non rappresenti una soluzione ma solo un’esacerbazione del problema: l’unico risultato concreto di queste chimere senza giustificazioni storiche è il disfattismo più lugubre.

Purtroppo lo stato italiano non fa gli interessi degli Italiani ma dei suddetti enti internazionalisti che mirano alla creazione di una gigantesca macedonia globale amministrata da un superstato centralizzato, logicamente a guida americana; non si ragiona più in senso nazionale (sarebbe fascismo, no?) e men che meno etno-culturale (chiaro sintomo di razzismo) ma universale poiché l’universalismo è l’unica cosa che non turba minimamente il mercato globale e il dispotismo incontrollato del dio denaro e del suo culto capitalistico.




L’Italia, quella vera che si innerva sulla ricchezza etnica del Paese senza sfornare itaglioni caricaturali, viene così ridotta ad una vuota e insipida italietta che conta solamente quando si parla di ferie, di turismo, di svago e immancabilmente di cialtronerie assortite sulla base dei logori cliché basati sui difetti dei Meridionali. Essa non conta più alcunché da un punto di vista di autorità, dato che è ingabbiata dall’Unione Europea, dalla NATO, dall’ONU cui deve pedissequamente obbedire pena sanzioni e altre assurdità senza capo né coda; non conta da un punto di vista di sovranità, visto che non ha più una… lira (intesa come moneta nazionale) e che il proprio mercato interno è soggetto al liberismo a tutto vantaggio degli stranieri che si stanno accaparrando di tutto lasciando le briciole agli indigeni; men che meno conta da un punto di vista identitario, visto e considerato che oggi “Italia” indica al più una squadra statale di pallone dove possono militare liberamente calciatori di altri Paesi e addirittura continenti.

Figuratevi se in una situazione simile l’Identità e la Tradizione italiane possono realmente contare qualcosa. Uno sente parlare di “identità” e il suo pensiero corre al pezzo di carta burocratico oppure, in maniera ben più scellerata, a quelle corbellerie velenose del gender mirate alla creazione di finti bisogni anarco-individualistici che non sono altro che capricci consumistici funzionali al mercato. A quel mercato globale di cui parlavo sopra che è esiziale nei riguardi della nostra economia e delle nostre finanze, e innanzitutto nei riguardi appunto della nostra identità.

Infatti, secondo voi, cosa può contare in un desolante quadro europeo siffatto? I quattrini, e nulla più. Essi rappresentano l’unica cosa che può unire genti disparate, rimescolate, meticciate e promiscue, sull’esempio della società americana costruita interamente sulla cittadinanza del consumismo e dell’edonismo, del materialismo più becero che si fa beffe di ogni discorso realmente patriottico (poiché a mio avviso “patriottico” significa etnonazionale, e non miseramente statale).

Privare un Paese europeo di autorità, sovranità e identità è quanto è in voga in Europa dal secondo dopoguerra, in particolar modo se si tratta di quei Paesi dal passato fascista o nazionalsocialista. Il tutto viene infatti sapientemente condito dal senso di colpa atavico che deve essere espiato genuflettendosi al cospetto del mondialismo e quindi cedendo la propria sovranità al fine di obbedire alle più disparate castronerie internazionaliste che spaziano dagli omosessuali ai migranti, dai Rom al liberticidio antifascista tutto reati d’opinione e anti-revisionismo.

Quando il tuo Paese non conta più nulla poiché imprigionato da uno stato-apparato che obbedisce direttamente ai poteri forti mondiali ti devi aspettare la situazione che stiamo vivendo da anni: barconi che infestano le acque del Mediterraneo, allogeni che premono alle frontiere pronti a dilagare per seminare crimine e arricchire le casse dei plutocrati, schiaffi all’identitarismo e al sentimento nazionale frustrati dalle vessazioni tecnocratiche di boiardi rinchiusi nelle loro belle torri d’avorio, e ovviamente sovversione quotidiana dei valori tradizionali consolidati, simbolo di quella salutare normalità che nulla ha a che vedere col grigio conformismo borghese cui invece (senza magari saperlo) obbediscono i sinistrati arcobalenati  e pacifisti. Poiché signori, la libertà è il bene della Comunità, non di pochi profittatori oppure dell’informe massa anarcoide.

La soluzione a questo distruttivo marasma, a mio avviso, sta in un Paese corroborato dall’etnonazionalismo e ordinato da un serio federalismo etno-culturale (prima che fiscale e amministrativo) affinché l’Italia torni ad avere uno squisito significato di Sangue e Suolo e in secondo luogo venga finalmente rappresentata da uno stato nazionale che faccia innanzitutto gli interessi del proprio Popolo, e poi dell’Europa, quella vera non la UE.

Preferisco di gran lunga una repubblica italiana etnofederale per conto proprio piuttosto che una laida accozzaglia di stati continentali dove a contare qualcosa sono solo gli interessi dei ricchi, dei parassiti, delle banche e delle lobby internazionali e dove invece gli interessi sociali e nazionali degli Europei sono derubricati al livello di carta straccia o al massimo di folclorismo da sagra paesana.



Ave Italia!




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