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martedì 24 novembre 2015

Il totalitarismo democratico




di: Riccardo Percivaldi

È stato spesso ripetuto che viviamo nell’epoca della fine delle ideologie, che il crollo del Muro di Berlino ha segnato il trionfo totale e assoluto dell’Occidente democratico e la vittoria del liberalismo sul comunismo. Secondo la vulgata ufficiale nell’epoca postmoderna le ideologie del novecento sarebbero scomparse, lasciando il posto a una nuova era di libertà caratterizzata dal pluralismo e dall’incredulità nei confronti delle metanarrazioni, con il sapere che si configura esclusivamente come «libera e imprevedibile attività della mente umana», in antitesi al «terrore teorico e politico praticato dai detentori del presunto sapere unitario, stabile, globale e assolutamente garantito».
          

Ad un’indagine più approfondita si rivela l’esatto opposto. Possiamo anzi legittimamente affermare che non c’è mai stata nessuna epoca storica più ideologizzata di quella odierna, solo che l’ideologia non si presenta più come tale, ma pretende invece di incarnare valori universali. In questo modo i suoi dogmi penetrano del tutto inavvertitamente nella coscienza delle masse, che sono incapaci di riconoscerne la natura artificiosa e falsa e di comprendere che il loro immaginario collettivo è plasmato da meccanismi di stampo totalitario e orwelliano, i quali condizionano i loro desideri e quindi il loro comportamento.
        
Già Pasolini rilevava come l’ideologia consumista, nascondendosi sotto una parvenza di libertà, sia al contrario riuscita come non mai a rimodellare, manipolare e plasmare a proprio piacimento l’essere umano, imponendo de facto una mercificazione totalizzante e totalitaria della società:  
«Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane» […] «Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana».
          
Il vero potere appartiene infatti a chi sa manovrare e manipolare l’immaginario e i sogni delle masse. Non consiste nella forza materiale, ma in quella psicologica, nella capacità di indurre comportamenti nelle persone attraverso la manipolazione delle pulsioni più elementari. La repressione fisica espone sempre al rischio di una rivolta popolare mentre, dando alle masse l’illusione della libertà, il Potere può in gran parte fare a meno della violenza nelle cosiddette “democrazie”.
          
Ciò tuttavia non significa che queste società siano intrinsecamente più libere, anzi. Più il controllo sociale è invisibile e viene attuato con strumenti “indolore”, ad esempio attraverso la propaganda dei media e l’educazione scolastica, maggiore è la sua efficacia, sedimentandosi molto più in profondità, nella sfera dell’inconscio e dell’irrazionale.
      
    



I 6 mega agglomerati mediatici che hanno in mano la quasi maggioranza dei media mondiali, questi sono fatti non speculazioni, questo solo fattore costituisce di per se un pericolo per tutta l'umanità, questa è la base della più terribile tirannia.



Il ruolo dell’omologazione consumista operata dai media nei regimi democratici occupa così il posto che la repressione fisica e la propaganda svolgono nelle dittature, con la sola differenza che mentre la bruta coercizione non esclude, ma anzi ammette, in certi casi, la possibilità che si destino delle reazioni, delle rivolte, al contrario il totalitarismo democratico porta al totale annichilimento della volontà dell’individuo, paralizzato proprio nella sfera interiore, che, non rendendosi conto di essere manipolato, finisce per legittimare, attraverso la sua adesione acritica ad uno stile di vita basato sull’individualismo edonista assoluto e alle dottrine liberali e democratiche l’operato di quel Potere che ha interesse a distruggere ogni ordinamento sano e normale dell’esistenza dei popoli.
          
Rileva giustamente Aldous Huxley:
«Gli antichi dittatori caddero perché non sapevano dare ai loro soggetti sufficiente pani e circensi, miracoli e misteri. E non possedevano un sistema veramente efficace per la manipolazione dei cervelli […] Ma sotto un dittatore scientifico l’educazione funzionerà davvero e di conseguenza la maggior parte degli uomini e delle donne crescerà nell’amore della servitù e mai sognerà la rivoluzione».
          
Il fatto che oggi sia impossibile anche solo concepire un’ideologia alternativa a quella dell’Occidente neoliberista, in grado di proporre un diverso sistema di valori e un diverso stile di vita da quello occidentale basato su aborti di massa, pornografia, droga, gay pride, matrimoni omosessuali, Grande Fratello, immigrazionismo e propaganda multietnica, ha portato a quella sacralizzazione dell’ideologia che è tipica di tutti i totalitarismi, che di fatto legittima il mondo attuale con tutte le sue contraddizioni e lo eternizza secondo una logica autoreferenziale che esclude a priori ogni possibile critica ai suoi principi basilari.
          
Oggi viviamo perciò nell’epoca più totalitaria della storia ove però l’ideologia si presenta con la maschera del politicamente corretto e della retorica universalista dei diritti umani. La forza del Sistema consiste nell’impedire alla massa di comprendere di essere vittima di uno sfruttamento ideologico e totalitario, credendo, al contrario, di vivere in una società libera, tollerante, pluralista e democratica, senza capire che quelli che vengono spacciati per principi di validità assoluta sono in realtà armi di guerra psicologica, che rispondono esclusivamente alla cinica determinazione di gruppi d’interesse che di essi si servono per spianare la strada al proprio dominio globalista e sovranazionale.
         

 Come fa giustamente notare Alexander Zinov’ev, filosofo e scrittore russo:
«Oggi noi viviamo in un mondo dominato da un’unica ideologia, portata avanti dal partito unico mondialista, un fatto unico […] Viviamo in un’epoca post-ideologica e in realtà la sovra-ideologia del mondo occidentale diffusa nel corso degli ultimi vent’anni è molto più forte dell’ideologia comunista o nazionalsocialista. Il cittadino occidentale è molto più inebetito di quanto non lo fosse il cittadino medio sovietico sotto la propaganda comunista. Nel campo ideologico l’idea conta meno che i meccanismi della sua diffusione».
          
 
 Alexander Zinov’ev


Ma questa sovra-ideologia dell’Occidente democratico se, da un lato, ha come nucleo centrale il capitalismo neoliberista, dall’altro presenta una struttura dialettica del tutto assimilabile al pensiero marxista che dopo il crollo del comunismo è passato dall’utopia del paradiso rosso all’utopia mondialista che vuole abolire tutte le differenze e creare il paradiso multicolore. In questo senso il comunismo non è morto ma si è alleato col capitalismo nella sua spinta globalizzatrice e omologante, che mira alla distruzione delle nazioni, al meticciato delle razze, all’abolizione delle frontiere e al rimescolamento delle culture.
         
 È significativo che gli odierni postcomunisti, come Toni Negri, dichiarino:
        
«La globalizzazione non è certo una realtà semplice […] Il nostro compito non è, per così dire, semplicemente quello di resistere contro questi processi, bensì quello di riorganizzarli e di orientarli verso nuove finalità» … «Attraverso queste e altri tipi di lotte, la moltitudine sarà chiamata a inventare nuove forme di democrazia e un nuovo potere costituente che un giorno ci condurrà, attraverso l’Impero, fino al suo superamento» … «Le migrazioni legali d’individui che possiedono dei documenti non sono nulla a confronto delle migrazioni clandestine. I confini degli Stati nazionali sono ridotti a colabrodi»«Una nuova orda nomade, una nuova razza di barbari, sorgerà per invadere o evacuare l’Impero»«I nuovi barbari distruggono con una violenza affermativa e, nella materialità della loro esistenza, tracciano nuovi percorsi di vita». (Lo si è visto infatti al Bataclan di Parigi) … «Invece di resistere alla globalizzazione capitalistica, occorre accelerarne l’andatura».
          
Idee molto simili a quelle espresse durante il 18 settembre 1988 al Festival dell’Unità a Campi Bisenzio in provincia di Firenze, in cui fu affermato molto più esplicitamente:  

«faremo arrivare in massa gli extracomunitari, ci serviranno per rilanciare la lotta di classe, disarticolare l’Occidente e la Chiesa Cattolica».

          
Qui vediamo dunque chiaramente l’eterogenesi dei fini per cui diverse sono le motivazioni che vengono presentate alle masse da quelle che realmente muovono le élite. La morale umanitaria che in altre circostanze viene fatta valere per giustificare la politica dell’accoglienza funge in realtà semplicemente da maschera dietro a cui i vari portavoce dell’oligarchia mondialista mirano a innescare una rivoluzione permanente basata sullo scontro di civiltà che sostituisca la lotta di classe, fomentando ovunque odio e violenza per giungere, dopo la putrefazione totale, al superamento dialettico della civiltà europea verso la nuova sintesi afro-islamica, la cosiddetta Eurabia.

          
Questo spiega l’apparente contraddizione dello schierarsi in difesa del progressismo laicista, dei diritti delle donne, degli omosessuali e, contemporaneamente, l’aprirsi al fondamentalismo islamico. Progressismo radicale e Islam hanno stretto un’alleanza tattica contro il nemico comune rappresentato dalla civiltà europea. Non c’è dunque alcuna contraddizione ma una logica perfettamente coerente nella sua cinica metodicità


Tuttavia per giungere alla tanto agognata sintesi multiculturale e multietnica il Sistema ha bisogno di mettere a tacere ogni opposizione interna. Ecco quindi che la contraddizione più evidente dei regimi democratici, vale a dire lo iato incolmabile tra retorica e prassi, è nella persecuzione dei dissidenti, poiché nonostante il Potere si presenti come democratico, esso si serve di un apparato della repressione del dissenso che è sostanzialmente identico a quello dei regimi comunisti, solo che le sue forme sono diventate quasi invisibili, ma più efficaci che mai.

   
A rendere impercettibile tale l’apparato è il fatto che gli unici che oggi costituiscono una vera opposizione al Sistema non sono i cosiddetti antagonisti o i vari indignados di turno – che non si oppongono affatto alla globalizzazione ma solo ad un tipo di globalizzazione – ma solo ed esclusivamente quegli individui o gruppi che si richiamano apertamente ai valori della razza, alla difesa dell’identità e del suolo, ai principi della tradizione, ritenuti inassimilabili al progetto mondialista, che mira alla distruzione dello Stato-nazione e alla creazione di una nuova umanità meticcia e sradicata come presupposto per instaurare un unico mercato monopolistico globale.

        
Contro chi rivendichi la propria identità è stata scatenata, sin dal dopoguerra a dosi sempre più massicce, una vera e propria demonizzazione, grazie ad una propaganda mediatica che si serve di parole magiche – razzista, fascista, xenofobo, islamofobo, omofobo – che produce l’effetto di evocare nell’opinione pubblica i peggiori spettri dell’inconscio e di arrestare il pensiero critico in modo che contro tali malfattori ogni punizione appaia lecita e moralmente giustificata.

          
Se perseguiti ingiustamente un avversario politico rischi di suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica, ma se attraverso la denigrazione lo fai sembrare un criminale – uno “sporco razzista”, un “lurido fascista”, ecc – allora l’odio e il disprezzo suscitati contro di lui ti autorizza ad accusare per crimini del pensiero chiunque esca dai binari del politicamente corretto, per quanto chiare, lucide e ben argomentate possano essere le sue analisi.

        
Non si parla più di politica, ma di una dimensione spirituale negativa, una qualità umana sinonimo di malvagità. E invece di confrontarsi su un piano di parità col proprio avversario politico il Sistema esorta a “guardare, “giudicare” e ad “odiare” chi non si conforma al pensiero unico. Di conseguenza i cittadini delle moderne “democrazie” possono godere anche loro dei propri personali “due minuti d’odio” dal sapore orwelliano.
          
Si arriva così al paradosso di una democrazia totalitaria (o di un totalitarismo democratico) in cui la libertà assoluta si trasforma nell’assoluta schiavitù e dove anche chi si limita a una critica equilibrata e razionale all’immigrazione o alle unioni omossessuali, quand’anche in un discorso che include il rispetto per le altrui diversità, può essere dipinto come un fanatico o addirittura come un mostro.

Questa concezione della politica non più come scontro civile tra avversari di pari dignità, in un contesto che include il rispetto reciproco, ma come guerra totale tra buoni e cattivi, in cui l’avversario viene trasformato in un cattivo assoluto e totale che si è legittimati ad odiare e ad emarginare perché essenzialmente malvagio, rientra del resto nella logica discriminatoria insita nella filosofia dei valori.

Secondo Carl Schmitt è proprio il «parlare di valori e il pensare per valori» che conduce alla nascita funesta dell’ideologia, a un eterno conflitto dei valori e delle divisioni del mondo, alle guerre di religione, al perpetuo bellum omnium contra omnes. L’Occidente democratico che pretende di oggettivare i suoi valori, staccandoli così dalla cornice soggettiva nella quale sorgono, di fatto prepara il terreno di uno scontro inevitabile, poiché il valore non può che affermarsi svalutando gli altri valori.






La svalutazione del valore rifiutato dischiude perciò un orizzonte di conflittualità entro il quale nessuna mediazione è possibile.
«Ogni riguardo nei confronti del nemico viene a cadere, anzi diventa un non-valore non appena la battaglia contro il nemico diventa una battaglia per i valori supremi. Il non-valore non gode di alcun diritto di fronte al valore, e quando si tratta di imporre il valore supremo nessun prezzo è troppo alto. Sulla scena perciò restano solo l’annientatore e l’annientato».
In questo senso l’ideologia dell’Occidente democratico, con la sua retorica dei diritti umani, diviene perciò la più tirannica delle imposture, poiché è proprio il richiamo a ragioni morali e la pretesa della loro universalità che garantisce la necessaria legittimazione teorica allo sterminio dell’avversario, sia che si tratti di un avversario geopolitico – contro cui viene fatta valere l’etica neocon della “lotta del bene contro il male” – sia di un dissidente interno.
         

 Il secondo caso potrebbe rientrare a giusto titolo in quella che Schmitt chiama la teoria del partigiano, che è la manifestazione più radicale della filosofia dei valori, caratterizzata dallo spostamento del baricentro concettuale della guerra, ossia la distinzione tra amico e nemico, all’interno dello Stato.

«Lenin trasferì sul piano politico il baricentro concettuale della guerra, vale a dire la distinzione fra amico e nemico […] e fece del nemico reale il nemico assoluto».

          Questo descrive perfettamente ciò che sta accadendo oggi in Europa, ove i governanti di tutti i Paesi – attivisti rivoluzionari che al poso dello Stato hanno scelto il Partito unico mondialista – anziché schierarsi in difesa dei propri cittadini contro il nemico esterno, come ad esempio l’invasore islamico, hanno intrapreso una guerra contro i loro rispettivi popoli favorendo un’immigrazione incontrollata e perseguitando chiunque critichi le scellerate politiche dell’accoglienza.

          Per l’oligarchia mondialista il nemico da abbattere non è il nemico pubblico, ossia quello che minaccia la sicurezza e l’integrità dello Stato, bensì solo ed esclusivamente il nemico ideologico, vale a dire il difensore autoctono del suolo nazionale che lotta per la difesa della propria identità di sangue e di suolo.

          In Italia la morsa della repressione si è manifestata in forma conclamata con la tristemente famosa “Legge Mancino”, una vera e propria legge orwelliana con cui anziché punire un fatto si colpisce l’intenzione – l’istigazione all’odio – anche laddove non c’è.
          È stato detto molto giustamente che «in realtà, presso i delatori si trova un odio sconfinato. Chi proprio vuole reprimere l’odio dovrebbe incominciare la sua indagine non dall’accusato, ma dal suo accusatore».

          Forse allora scopriremo che la vera ideologia dell’odio non è né il razzismo né il fascismo ma solo ed esclusivamente l’universalismo demo-liberale che con la sua morale umanitaria incita all’odio in nome dell’amore e a perseguitare chiunque si opponga al suo progetto di distruzione di ogni identità, di ogni cultura, di ogni differenza.
          Per descrivere con un’immagine efficace la deriva totalitaria delle moderne democrazie potremo concludere parafrasando Brecht:

Prima di tutto vennero a prendere i razzisti,
e io stetti zitto perché odiavo i razzisti.
Poi vennero a prendere i revisionisti,
e io stetti zitto perché mi infastidivano i revisionisti.
Poi vennero a prendere i sessisti,
e io stetti zitto perché non tolleravo i sessisti.
Poi vennero a prendere gli omofobi,
e io stetti zitto perché mi facevano schifo gli omofobi.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto più nessuno a protestare…



di: Riccardo Percivaldi











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