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giovedì 23 aprile 2015

Il 25 Aprile la festa della vergogna,la vittoria dei traditori e degli usurpatori-parte 2






Di: Fabio Calabrese


Se si confronta il comportamento degli Italiani durante il secondo conflitto mondiale con quello dei nostri alleati tedeschi e giapponesi, diventa subito evidente una constatazione molto amara: Germania e Giappone ressero alla prova. Come l’Italia, queste due nazioni subirono una quantità terrificante di lutti e distruzioni materiali da parte di un nemico (il cosiddetto “bene assoluto”) che non si faceva alcuno scrupolo nel colpire nella maniera più atroce le popolazioni civili, eppure, a differenza dell’Italia continuarono a combattere unite fino all’ultimo, uscirono dal conflitto materialmente distrutte ma con il loro onore intatto.


Soprattutto tutto quanto è accaduto in Europa dal 1989 in poi, dimostra che nemmeno lo smembramento politico imposto alla nazione centroeuropea durante gli anni della Guerra Fredda, e neppure lo sterco che è stato versato a piene mani addosso ai Tedeschi a partire da quella tragica farsa, obiettiva quanto lo può essere la rappresaglia dei vincitori sui vinti che fu il processo di Norimberga, sono bastati a minare in questo popolo la consapevolezza e il senso di appartenenza nazionale.

L’Italia no, ha miserabilmente ceduto. Il comportamento eroico dei nostri militari in condizioni disperate, a Nikolaewka, a El Alamein e in mille altre occasioni, l’eroismo ancor più caparbio di quanti (molti di più di quanti si vuol far credere, ma sempre troppo pochi) continuarono fino all’ultimo la lotta contro lo stesso nemico, non compensa se non parzialmente la vergogna della massa pronta a cambiare casacca per saltare sul carro del vincitore.



Soldati della X MAS durante la RSI (Repubblica Sociale Italiana) 




Alcuni paracadutisti che avevano aderito alla ANR della RSI che indossano il brevetto da pilota con la corona asportata,per il tradimento del Re
Vittorio Emanuele III Savoia,che l'ascio un paese in balia del nemico invasore di cui era anche un collaborazionista.




Il brevetto da Pilota degli aderenti alla RSI,in cui fu asportata
la Corona Regia, è succesivamente aggiunta la classica M di Mussolini.



Bisogna rendersi conto, avere il coraggio di capire, per doloroso che possa essere, che questa non è una vergogna da nascondere sotto il tappeto – non esiste un tappeto sufficientemente grande e spesso alla bisogna – ma un problema da affrontare.

Certamente, il comportamento del re, degli alti gradi dello stato e delle forze armate che per primi disertando vigliaccamente, buttandosi nelle braccia del nemico, hanno dato un repellente esempio, hanno avuto il loro peso. Come dice il proverbio, “il pesce puzza dalla testa”, ma non tutto è riducibile a ciò: si pensi alle folle plaudenti che all’indomani del 25 luglio di diedero a distruggere i simboli del regime fascista, folle composte da gente che si era dichiarata fascista fino al giorno prima e che magari negli anni precedenti al conflitto, dal fascismo non aveva ricevuto che benefici.
Certo, si imputava al fascismo la responsabilità della tragedia bellica e della sconfitta che si profilava imminente. Il popolino non poteva rendersi conto che era stato soprattutto l’antifascismo a volere la guerra, e nel contempo a sabotare gli sforzi dei nostri combattenti, a programmare la sconfitta, precisamente allo scopo di arrivare alla caduta del regime.

Eppure, questi fattori, anche se devono essere tenuti nella debita considerazione, sono ancora insufficienti per spiegare quanto è accaduto.

Gli Italiani mostrarono allora, come continuano a mostrare oggi, una sconcertante mancanza di coesione nazionale. Se noi vediamo nel suo insieme la massa dei localismi, dei separatismi che percorre il nostro Paese, possiamo giungere a una sola conclusione: gli Italiani non vogliono o non vorrebbero essere tali, si vergognano di esserlo.

Settant’anni di repubblica democratica imposta dai vincitori, vale a dire di un regime corrotto dove coloro che si sono ripetutamente avvicendati al potere hanno dimostrato sistematicamente di non avere altra finalità che quella di mettere le mani sulla cosa pubblica per interessi personali, hanno avuto ed hanno in tutto ciò un peso notevole, ma le radici di questa piaga sono molto più antiche, affondano direttamente nella nostra non esaltante storia bimillenaria fatta di invasioni e dominazioni straniere, di frammentazione politica, di assenza dello stato nazionale.

Tutto ciò ha provocato il formarsi di quella mentalità profondamente radicata, a livello conscio o inconscio, nella psiche degli Italiani che è stata definita “familismo amorale” per cui lo stato era/è semplicemente il dominatore di turno, da ingraziarsi per scamparne le furie, e da raggirare per trarne il massimo utile personale possibile.
Sessant’anni di stato nazionale liberale non avevano cambiato nulla, perché i liberali risorgimentali e post-risorgimentali avevano si dato all’Italia quell’unità nazionale che mancava da quindici secoli, ma avevano tenuto le masse popolari rigorosamente fuori dallo stato unitario, che continuava ad apparire solo come l’ultimo dei dominatori estranei succedutisi nei secoli.








Il fascismo ha fatto quello che poteva per fare dell’Italia una nazione coesa e per rendere gli Italiani fieri di essere tali, ma obiettivamente ha avuto troppo poco tempo, vent’anni erano veramente pochi per l’opera di ricostruzione morale che sarebbe stata necessaria, e ora, in quel tragico 1943, pagava colpe non sue.
La democrazia che soffriamo da quattordici lustri, non occorrerebbe nemmeno dirlo, poi, ha incancrenito tutte le piaghe.

Il cambio di fronte e di alleanze avvenuto in piena guerra, non fu soltanto un gesto infame, un tradimento vergognoso che ha gettato una macchia di discredito e di disonore sull’Italia e sugli Italiani destinata forse a rimanerci addosso per sempre, fu anche un’incredibile dimostrazione di faciloneria, di dilettantismo, di superficialità da sembrare grottesca se non fosse nel cuore di una delle più atroci tragedie, forse la peggiore in assoluto, della nostra storia.

Dei Tedeschi si può dire tutto ma non che fossero o siano degli stupidi. Tra il sequestro di Mussolini e l’armistizio seguito dal capovolgimento di fronte, passarono un mese e mezzo, un tempo più che sufficiente ai Tedeschi che avevano capito benissimo l’aria che tirava, per prendere le necessarie contromisure. Quelli che invece furono del tutto colti alla sprovvista, furono gli Italiani, le forze armate e la popolazione civile.

Tutto il succedersi degli eventi dimostra la faciloneria sconcertante di coloro che avevano defenestrato Mussolini. Il re nominò capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio. Il principale “merito” di quest’uomo era stato nella prima guerra mondiale, di essere il responsabile del disastro del 24 ottobre 1917, dello sfondamento austriaco avvenuto non a Caporetto, ma a Tolmino, il suo settore, anche se poi fu “spostato” su quello adiacente precisamente per coprire le sue responsabilità. Era stato e continuò a essere uno dei comandanti più detestati dalle truppe per la sua mancanza di qualità umane. Nelle fasi conclusive della guerra d’Etiopia, era riuscito a sostituire Rodolfo Graziani come comandante in capo, in modo da farsi attribuire senza merito la conquista di Addis Abeba e la caduta dell’impero del Negus; era insomma una nullità come uomo e come comandante, come politico riuscì presto odioso agli stessi antifascisti.
L’armistizio fu concluso nella località siciliana di Cassibile fra le autorità militari angloamericane e il plenipotenziario italiano, generale Castellano, il 3 settembre 1943, ma a questo punto Badoglio, spaventato dalla possibile reazione tedesca, non se la sentì di renderlo pubblico.

Foglietti anonimi circolanti all'indomani dell'8 settembre 1943


L’annuncio dell’armistizio fu dato da Badoglio la mattina dell’8 settembre dopo che il comandante americano, il generale Eisenhower, aveva minacciato di renderlo pubblico di propria iniziativa se gli Italiani non si sbrigavano a farlo, e in effetti dopo che la notizia era già stata data dalla radio canadese.
E’ importante sottolineare che questo comunicato radio fu dato in maniera del tutto irrituale, cioè senza seguire nessuna di quelle normali procedure che servivano a impedire che si potessero credere provenienti dai comandi falsi ordini diramati dal nemico, in chiaro e senza nessuna conferma in cifra. In pratica, le forze armate e l’Italia intera vennero lasciate senza ordini e allo sbando. Nulla era stato fatto per preparare le nostre truppe, soprattutto quelle che si trovavano in territorio straniero a contatto di gomito con le unità tedesche, all’imminenza del cambiamento di fronte.




E’ ben noto, ad esempio, anche perché sono settant’anni che gli antifascisti ci ricamano sopra, il tragico episodio dell’isola greca di Cefalonia, dove la nostra divisione Acqui fu massacrata dopo che i suoi comandanti si rifiutarono di cedere le armi ai Tedeschi in una situazione militarmente indifendibile. Si trattò tuttavia di un episodio relativamente isolato, la cui responsabilità, prima che sui Tedeschi, ricade sul governo Badoglio e sui comandanti della Acqui che pretesero che i loro uomini si sacrificassero senza speranza per un concetto dell’onore militare che gli alti comandi avevano già calpestato.
In generale, però la reazione tedesca fu più moderata di quel che c’era da aspettarsi date le circostanze, e di quel che la propaganda antifascista racconta: coloro che accettarono di cedere le armi ebbero il normale trattamento dei prigionieri di guerra. Chi invece decise di continuare a combattere lo stesso nemico, non ebbe problemi di sorta, ne è un esempio la Decima Mas, il cui comandante Junio Valerio Borghese optò per la prosecuzione del conflitto a fianco dello stesso alleato e contro lo stesso nemico con cui era cominciato, prima ancora della proclamazione della Repubblica Sociale.


Quello che invece gli antifascisti e i libri di storia ispirati all’antifascismo che impestano la scuola italiana, i media di regime che ci asfissiano con storie “resistenziali” e via dicendo, non raccontano, è la sorte toccata ai nostri militari già prigionieri degli angloamericani. Quelli di loro che rifiutarono di aderire al governo “cobelligerante” persero lo status garantito dalla condizione di prigionieri di guerra e furono internati nei sinistri lager noti come “Fascist criminal Camp”, il più noto dei quali fu quello di Herford in Texas, il cui scopo, fra sevizie e fame, era la loro distruzione morale e fisica. Pensate che i campioni della democrazia angloamericani non abbiano avuto i loro campi di sterminio? Ebbene, vi sbagliate!

Non certo migliore fu il trattamento riservato ai prigionieri italiani da parte dei sovietici prima o dopo l’8 settembre. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica è emersa dagli archivi sovietici fin allora impenetrabili, una lettera del leader comunista italiano (si fa per dire) Palmiro Togliatti a Stalin. Rifugiatosi nel “paradiso socialista” staliniano, Togliatti, “il migliore” era diventato segretario e uomo di fiducia del tiranno e boia del popolo russo.
Questa lettera era la risposta di Togliatti a Stalin che gli chiedeva se fosse il caso di riservare ai prigionieri italiani un trattamento meno disumano di quello riservato ai tedeschi. Togliatti rispose negativamente: ogni soldato italiano morto in Russia, avrebbe significato una famiglia di antifascisti in più in Italia. Se quest’uomo era “il migliore”, come i suoi seguaci l’avevano soprannominato, immaginate cosa dovevano essere gli altri!

Il voltafaccia dell’8 settembre fu una macchia di disonore indelebile nella nostra storia, ma quel che accadde subito dopo, fu ancora peggio, la mattina del 9 il re, la famiglia reale, Badoglio con il suo governo, fuggirono da Roma per raggiungere il sud già occupato dagli Angloamericani e andare a mettersi sotto la protezione del nemico.
Non si era mai visto fin allora nella storia che un re, un governo, gli alti gradi militari disertassero in massa, fuggissero con un comportamento che avrebbe spedito davanti al plotone d’esecuzione il più umile dei fantaccini.

A Brindisi fu costituito un governo fantoccio sotto la protezione angloamericana. Ovviamente, il voltafaccia e la diserzione facevano comodo agli “alleati”, ma questi non fecero proprio nulla per celare il disprezzo che giustamente provavano nei confronti dei loro nuovi “cobelligeranti”. Per prima cosa, imposero a Vittorio Emanuele III un’abdicazione de facto, obbligandolo a trasferire tutti i poteri al principe ereditario Umberto, che divenne luogotenente del regno, lo stesso Umberto che sarà re per un mese nel maggio 1946, l’ultimo re d’Italia.

Non ci si limitò a questo; l’aeronautica del ricostituito esercito del sud, ad esempio, fu impiegata nei Balcani in appoggio alle bande partigiane del maresciallo Tito. I nostri piloti non sapevano di contribuire al massacro della nostra gente sulla sponda orientale dell’Adriatico, ma gli “alleati” con ogni probabilità lo sapevano benissimo, ed era il più tragico dei dileggi.

Quanti avevano scelto il sud non per opportunismo, ma per un concetto di lealtà (“ubbidire agli ordini del re”) che non trovava più rispondenza nei fatti, capirono presto il clima avvelenato di vergogna e disonore che li circondava. I casi più drammatici furono quelli dell’eroe sommergibilista Carlo Fecia di Cossato che si suicidò, e dell’asso degli aerosiluranti Carlo Emanuele Buscaglia che, dopo aver rubato un bimotore Baltimore, precipitò nel tentativo di raggiungere il nord.

Certamente, non si può negare ai Tedeschi la capacità, all’occorrenza, di agire con efficienza e rapidità. Subito dopo l’8 settembre scattò l’occupazione dell’Italia, almeno delle parti ancora non invase dagli Angloamericani. Su questo rapido intervento tedesco, certamente programmato da gran tempo ed attuato nello stile dinamico del Blietzkrieg, della guerra lampo dell’inizio del conflitto, sono state scagliate da parte antifascista le più atroci maledizioni, ma io come giuliano non posso ignorare il particolare che esso venne quanto meno a interrompere gli eccidi della popolazione italiana a opera dei partigiani jugoslavi che erano già cominciati sulla sponda orientale dell’Adriatico, i primi infoibamenti, che concesse alle nostre martoriate popolazioni almeno un anno e mezzo di respiro.






Giuseppina Ghersi,25 Aprile 1945.Una bambina di 13 anni violentata e uccisa dai partigiani per aver scritto un tema a favore del Duce.




Un caso esemplare, fu quello di Norma Cossetto, una ragazzina sedicenne la cui unica colpa era quella di essere figlia di un gerarca locale. Sequestrata dai partigiani jugoslavi, fu atrocemente seviziata dopo essere stata ripetutamente violentata e infine uccisa.

Catturati dai Tedeschi, quattro degli assassini partigiani furono fucilati dopo essere stati costretti a passare una notte in compagnia del cadavere della ragazza. Considerato quello che la nostra gente ha subito, è una consolazione che almeno quattro canaglie di quella infame genia abbiano avuto quello che meritavano.
L’Italia divisa in due e trasformata in campo di battaglia, iniziava il capitolo tristissimo della guerra civile che veniva a sommare i suoi orrori a quelli del conflitto.



















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