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lunedì 18 gennaio 2016

Platone ed il pericolo della democrazia



di: Riccardo Tennenini


“Dalla democrazia, dall’estrema libertà deriva la schiavitù maggiore e più selvaggia”.

“Quando il cittadino accetta che, da dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine… Così la democrazia muore: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo.”

Platone



Dopo la caduta del muro di Berlino e lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, assistiamo al trionfo totale delle democrazie occidentali nate dalla Rivoluzione Francese, che porta con se il liberale improntato al liberalismo, in quanto atteggiamento di pensiero o dottrina politica ed economica, in cui si propongono la libertà individuale (limitando il potere dello Stato), uguaglianza (egualitarismo), e condizioni di vita dignitose. L’uomo democratico è mediocre, il che lo rende incapace di realizzare in forma completa tanto rivolta al bene quanto al male, e di fatto gli rende impossibile il dominio assoluto sullo Stato, con conseguenze positive e negative che comportano i due termini su cui si basa la democrazia, libertà e uguaglianza. L’uguaglianza prevede la parità dei diritti di tutti e la possibilità di accedere con uguale dignità a cariche politiche, che si può riassumere con la parola isonomia. La libertà permette di poter scegliere il proprio stile di vita e muoversi in modo indipendente. La parola demokratìa deriva da demos ossia popolo e kratos potere, che venivano interpretati in due modi: la parola “popolo” era la totalità dei cittadini, mentre il “potere” era riservato solo alla parte ricca del corpo sociale. Aristotele nella sua opera “Politica” osserva che dove dominano i ricchi, in molti o in pochi che siano, ci sarà un oligarchia e dove dominano i poveri ci sarà una democrazia.

Anche Platone conosceva l’ambiguità di tale parola, osservando che la democrazia ha iniziò quando i poveri risultavano vincitori del conflitto che li opponeva ai ricchi, intendendo per poveri la maggioranza della popolazione impoverita dal potere oligarchico come scritto nella “Repubblica“. Sembra dunque di poter affermare che la democrazia ha due facce: una normativa legata all’isonomia e l’altra sociale demokratìa in senso radicale.

Per Protagora gli individui prendono decisioni che concernono la vita collettiva in una condizione di libertà. Per Platone invece l’anima presenta tre centri motivazionali:quello razionale e calcolativo (coscienza), impulsivo e volitivo (ambizione e competitività) e infine quello desiderativo (sfera piaceri corporei). Dunque per Platone è in grado di governare solo chi è dominato dalla coscienza cioè  l’homo politicus, ed essendo una qualità rara può essere presente solo in un èlite aristocratica e non nella totalità democratica. La demagogia ovvero l’arma della democrazia, per la quale al normale dibattito politico si sostituisce una propaganda esclusivamente lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali delle masse, allo scopo di mantenere o conquistare il potere costituisce una tappa fondamentale durante l’attuarsi della democrazia che risiede nella tirannide. La demagogia costituisce il lato dell’incompetenza, per il fatto stesso che alla guida dello Stato non c’è l’homo politicus ma l’homo oeconomicus. Platone arriva a dire nel “Gorgia” che il politico democratico, cioè il demagogo, si comporta come un cuoco, si limita a compiacere il suo interlocutore, adulandolo, ma in ultima analisi gli procura un danno incalcolabile.





L’homo oeconomicus è di fatto un demagogo. Esso non possiede nessun sapere specifico relativo al bene dello Stato e agli individui che vi abitano. La sua unica dote consiste nella capacità di persuadere le anime irrazionali dei membri dell’Assemblea, indirizzandoli verso decisioni che risultano utili solo a lui. Così la retorica (l’arte dei demagoghi) rappresenta una pseudotecnica non volta al benessere della realtà di cui si occupa (politica) ma finalizzata unicamente all’adulazione.

Il passo inevitabile, dopo la demagogia, come abbiamo già accennato prima, è la tirannide! E l’homo oeconomicus diventa isonomico. A questo punto Platone ci dice come si forma una tirannide:  l’uomo isonomico è governato da desideri e pulsioni che lo pervadono che si stanziano tutti sullo stesso piano, in lui mancando ogni principio gerarchico. L’isonomia non regola solo i rapporti istituzionali, politici e normativi ma anche la psicologia democratica. La libertà diventa anarchia generando nel popolo paura che finisce per affidarsi ad un difensore proveniente dalla cerchia de demagoghi. Egli una volta giunto al potere, si circonda di un piccolo esercito personale aumentando esponenzialmente il suo potere, agendo non nell’interesse del popolo per cui è stato eletto campione, bensì nel proprio. L’uguaglianza diventa disuguaglianza classista tra il ricco e il povero. Nasce così il tiranno e la tirannide, che si alimentano del circolo perverso al quale danno luogo anarchia, paura e demagogia!



Platone mostra l’intrinseca problematicità della parole uguaglianza e libertà. La libertà è destinata a essere sospesa dall’arrivo del tiranno, mentre l’uguaglianza afferma che gli uomini non sono affatto tutti uguali, natura e società li rendono radicalmente diversi, alcuni migliori altri peggiori. L’uguaglianza è tale solo se c’è una distribuzione delle cariche in base alla virtù cioè alla competenza. Il principio di competenza costituisce l’unico discrimine per l’accesso al potere: il sapere, la conoscenza rappresentano l’autentico criterio di legittimazione del potere.

Ma quali sono i processi che ci hanno portato fino alla tirannide ? Platone ce lo spiega nella “Repubblica” dove delinea cinque forme di governo: la prima è l’Aristocrazia (governo dei migliori) dove è presente la kallipolis, ossia la città perfetta governata dai filosofi, che declina quando nei governanti è presente la parte impulsiva (non razionale) dell’anima, dove il sapere viene sostituito dal coraggio e l’ambizione.


Così l’aristocrazia diventa Timocrazia ovvero un governo basato sull’onore!  Tale forma di governo la associa a Sparta. Dal processo di decadimento della timocrazia segue quello dell’Oligarchia in qui il principio dell’onore viene sostituito dalla ricchezza. Così se nell’uomo timocratico era presente thymoeides di omerica ascendenza, nell’uomo oligarchico è presente epithymetikon,  presente anche nell’uomo democratico e nel tiranno.




 
La città oligarchica si basa sul criterio censitario e la restrizione su base censitaria del diritto di cittadinanza: ciò determina il progressivo venir meno la principio di competenza. L’effetto più devastante della progrssiva accentuazione del principio censitario consiste nella radicalizzazione delle differenze economiche tra ricchi e poveri che entreranno inevitabilmente in conflitto causando la stasis, ossia la guerra interna. L’individuo oligarchico, quindi, rappresenta l’homo oeconomicus la qui unica motivazione che lo muove è il desiderio di arricchirsi. Dopo l’oligarchia segue la Democrazia.

Se nella timocrazia vige il principio dell’onore, nella città oligarchica è il denaro, nella città democratica è la eleutheria declinata in parrhesia e exousia. Non esistono obblighi e doveri, neanche quello di governare, tutti possono governare o essere governati. La tolleranza è diffusa e ognuno può fare ciò che vuole. L’uomo democratico fa ciò che vuole quando lo desidera senza regole, ciò porta inevitabilmente all’anarchia che degenera in Oclocrazia fino ad arrivare alla Kakistocrazia (governo dei peggiori) dove è presente il predominio politico delle masse, che fanno valere le proprie istanze con agitazioni di piazza imponendosi sul potere legittimo e sulla legge stessa.


fonte: ereticamente.net
 






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