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venerdì 21 marzo 2014

Quando l’élite bypassa la democrazia




Il nostro tempo può definirsi post-democratico, ora che la stessa democrazia ha definitivamente abbandonato l'idea secondo cui per sopravvivere essa debba possedere, o per lo meno creare, un consenso popolare. All'élite d'Occidente questo consenso non serve più. L'autodeterminazione dei popoli - legati a doppio filo con l'alta finanza che quota gli interessi delle grandi imprese strategiche in borsa - si gioca a colpi di spread e di sanzioni economiche. La politica, oggi, si fa in economia. La politica la fa l'economia. 

 

 

 “La potenza del Capitale è tutto, la borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, per pupazzi”.

Lenin

 

 

Hanno trasformato, nel giro di pochi mesi, la protesta di piazza Maidan in una rivoluzione che, a dire il vero, sembra più un colpo di Stato. Hanno destabilizzato e rimpiazzato un governo. Non hanno indetto elezioni. Hanno sulla coscienza più di 100 morti tra civili e militari. Hanno infranto le norme del diritto internazionale.
L’élite d’Occidente è un’élite rivoluzionaria – il caso ucraino ne è la prova – ed è inoltre del tutto intollerante all’applicazione dei principi democratici, tra cui l’inviolabilità delle frontiere e l’autodeterminazione dei popoli. Il referendum in Crimea di fatto non viene riconosciuto dai leader degli Stati Uniti e dall’Ue, che hanno varato una serie di sanzioni contro Mosca, di cui la camera bassa si è attivata, dopo i risultati, per annettere l’Ucraina come Repubblica nella Federazione Russa. L’élite pur di mettere Putin sull’attenti e ammonirlo per la difesa dei suoi interessi sullo scacchiere internazionale, si permette di bypassare la volontà popolare della penisola – russa di lingua e ortodossa di confessione – del Mar Nero.

La Storia ci ha sempre dimostrato che le élites, a differenza dei popoli, non sono portatrici di valori, non sono contenitori di ideali, né di una visione del mondo comunitaria, democratica, o pacifica; esse sono gruppi violenti e rivoluzionari, tutori dei propri interessi. L’odio che provano nei confronti dell’opinione pubblica espressa democraticamente in base alle consultazioni dirette o meno, è stato ampiamente dimostrato in questi ultimi anni. Ricordiamo ad esempio la Francia del 2005 che disapprovò con il 54,6% dei “no” la ratifica del trattato che stabiliva una costituzione Europea. Eppure, senza venir sottoposto al vaglio popolare, solo due anni dopo, nelle segrete stanza di Bruxelles, fu firmato il Trattato di Lisbona. Fu cambiato il nome ma non i contenuti.

A Febbraio del 2014, con il 50,3% dei “si”, gli Svizzeri approvarono un emendamento sul freno alla circolazione degli immigrati sul suolo elvetico. L’Ue intervenne prontamente con una serie di sanzioni tra cui il congelamento dei negoziati sull’elettricità.
In Italia sono ormai tre i governi non legittimati dal consenso popolare, e la riforma elettorale che verrà a breve approvata non servirà, come non serviva il porcellum, ad esprimere l’opinione pubblica, ma a garantire determinati interessi politici e note alleanze strategiche. Del resto, citando Mark Twain, “se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare”.



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